Alberto Martini (Oderzo 1876-Milano 1954) è stato, nei suoi raggiungimenti più alti, tra gli illustratori europei di primo Novecento, uno dei più originali e bizzarri. La sua grandezza e inimitabilità consiste soprattutto nella sua capacità virtuosistica di usare la penna e l’inchiostro di china con una tecnica così minuta e ossessiva tale da far sembrare le sue tavole disegnate opera d’incisione, al servizio di un’immaginazione visionaria così originale, da trascendere dalle suggestioni delle opere letterarie da lui illustrate – Poe, Shakespeare, Mallarmé, le più importanti – ponendosi così ad un tempo, come epigono del decadentismo e del simbolismo e precursore assoluto del surrealismo – nei suoi auspici egli si sapeva iniziatore di un movimento artistico che egli immaginava sarebbe venuto nel futuro e di cui egli ancora ignorava il nome. A ciò si aggiunga il carattere della sua persona, aristocratico nelle sue presunzioni, provinciale e cosmopolita ad un tempo, dandy maniacalmente elegante nel vestire, bizzarro e scostante, altero nei comportamenti, fiero dell’aureola di seduttore e raffinato erotomane di cui si seppe circondare.
Monica Cardarelli, fondatrice e direttrice della Galleria del Laocoonte di Roma, ha studiato Martini sin dai tempi della sua specializzazione all’Università di Firenze, e presenta ora una mostra (Alberto Martini Maschere e Ombre, ed. D’Arte) – in concomitanza e comunione con quella allestita dalla Galleria Carlo Virgilio – che comprende 70 opere tra disegni a penna e a matita, acquarelli, incisioni, litografie ed un dipinto ad olio “Le Flambeau du Pantin” – la fiaccola di Sganarello – del 1940, che è una visionaria e autobiografica meditazione dell’artista sul tema di Don Giovanni. La mostra, visibile per ora solo su appuntamento ed è ospitata presso il Gabinetto dei Disegni, nuovo spazio dedicato alle opere su carta della Galleria W. Apolloni in Via Margutta 53B.
Oltre al catalogo delle opere con una presentazione di Davide Lacagnina, verrà presentato anche un volume, titolo Vittorio Pica e Alberto Martini – il trentennale sodalizio tra un critico ed un artista (ed. D’Arte), dedicato al lungo e importante sodalizio artistico e intellettuale di Martini con Vittorio Pica (Napoli 1864 – Milano 1930), il maggiore divulgatore in Italia tanto della grafica e dell’arte moderna europea, e della letteratura decadentista francese che alle precedenti è indissolubilmente legata. Scopritore, mentore e protettore di Martini, Pica fu tra i fondatori della Biennale di Venezia, e segretario generale dal 1920 al 1926, quando fu brutalmente silurato dal fascismo. Fu allora che Martini ripagò il suo debito lanciando una sottoscrizione in opere tra tutti gli artisti europei da Pica celebrati che fu poi venduta all’asta a beneficio del critico napoletano.
Opera capolavoro tra tante è l’Autoritratto (1905), vertiginosa opera di penna, dai mirabolanti effetti grafici di tessitura d’ombre, in cui il giovane Martini si presenta come perfetta figura di bel tenebroso, con la cravatta a fiocco nera che pare un fiore e una farfalla, e una minuscola donna nuda dalle di lepidottero, che si appoggia sopra una tavola disegnata dell’artista, quella per la Berenice di E.A. Poe.
Quelle per i racconti di Poe, cominciate nel 1904, sono le illustrazioni più note di Martini, che non furono mai pubblicate in volume vivo l’artista, ma solo nel 1985, in sontuosa veste editoriale, da Franco Maria Ricci. Di queste se espongono qui sei, tra cui due grandi – notturni a china i cui lumi accende il bianco della carta – dedicate a Hop Frog, con l’orrido olocausto del tetro giullare – e William Wilson, in cui è l’artista stesso a sdoppiarsi nel suo minaccioso doppelgänger.
Delle tragedie di Shakespeare Martini scelse le due più vicine allo spirito macabro e orrifico di Poe: l’Amleto e il Macbeth. Da queste son presenti due tavole, quelle del giuramento in presenza del fantasma del padre per l’Amleto e un’altra in cui gli occhi ormai folli di Lady Macbeth guardano la propria mano che si staglia, nera d’ombra contro una candela, scorgendovi nel delirio quelle macchie di sangue che nemmeno tutti i profumi d’Arabia avrebbero potuto purificare.
Segue per importanza “Il poema delle Ombre”, una serie che comprende una trentina di volti mascherati in tutte le fogge, che evocano il carnevale veneziano, le maschere nere dei ladri e dei congiurati d’altri tempi, i volti femminili velati dei romanzi del mistero, tutte velocemente improvvisate a pennello e inchiostro come “macchie di Roschach” casuali che per satanico prodigio prendano la forma di volti che ci guardano sfrontatamente dai buchi del loro mascheramento. Martini divenne artista favorito della famigerata Marchesa Casati, e regista, costumista, trovarobe e ritrattista per lei e per le sue mirabolanti feste in maschera veneziane. In questa galleria il carnevale si trasforma da sogno ad incubo.
Una serie di matite e disegni testimonia della collaborazione che Martini ebbe nel 1905 con “La Lettura”, il supplemento letterario del Corriere della Sera. Non va dimenticato che fu Martini ad illustrare la rivista di Marinetti “Poesia”. Da futurismo, cubismo e surrealismo Martini non fu immune, come ben mostra l’acquarello Aurélia illustrazione per la poesia di Gérard de Nerval. Dal 1928 al 1936 infatti, Martini visse a Parigi, creando un suo particolare genere di “pittura nera” e di “pittura color del cielo” che egli pensò culmine della sua arte. In realtà la sua massima creazione, tanto in ardimento di visionarietà che di straordinarietà tecnica è forse il ciclo dei “Misteri”, del 1915, raffinatissime litografie che sono davvero apparizioni oniriche che l’arte non aveva mai finora saputo concepire tali, e che precedono tutto ciò che il surrealismo saprà inventare nell’arte, nella fotografia e nel cinema.
Di Martini incisore si presenta il ciclo completo delle “Sirene” a puntasecca.